Ti è mai capitato che un tuo paziente abbia abbandonato anzitempo un trattamento?
Beh, se anche a te è successo, sicuramente ti sarai chiesto:
- in cosa ho sbagliato?
- che cosa non ha funzionato nell’approccio con quel paziente?
Mettersi in discussione migliora la tua crescita professionale e personale.
Capire il significato di abbandono terapeutico è fondamentale per l’andamento e il progredire della tua attività.
Ma ora voglio focalizzare la tua attenzione su molti studi e review internazionali, devi sapere che la percentuale più alta di abbandono terapeutico è data dalla vergogna, si proprio così, dalla vergogna, il paziente prova questa emozione e fugge via.
Ma quando si prova vergogna, cosa dobbiamo sapere in ambito terapeutico?
Innanzitutto vergognarsi significa pensare di aver fatto qualcosa di sbagliato o di aver infranto una regola sociale, ma cosa prova il paziente? il paziente sarà invaso da un senso spiacevole di nudità e trasparenza che provocherà in lui o in lei un forte disagio, infatti vorrà sottrarsi dagli sguardi altrui, che in questo caso sarà il nostro, ovvero quello del terapeuta.
Per questo motivo, quasi certamente non si presenterà al nostro prossimo appuntamento.
Ma quali sono quei pazienti che più di altri sono esposti a queste emozioni?
Da studi mirati sono emerse 3 categorie di pazienti che provocano più vergogna di altri:
- Pazienti in sovrappeso
- Pazienti incontinenti
- Pazienti esposti a manipolazioni e quindi a nudità
Si, so benissimo cosa stai pensando, che sei in grado di gestire ottimamente questi pazienti e che queste sono informazioni già acquisite, ma, ti assicuro, che siamo solo in grado di riconoscere i segni somatici e neurovegetativi della vergogna, ma non riusciamo ne a gestirla ne a tantomeno ad anticiparla, e sai perché?
Il motivo è semplice, la maggior parte delle volte, la causa per cui il paziente prova vergogna è il terapeuta stesso, si proprio così, l’innesco siamo noi, inneschiamo questa emozione perché data dalla nostra cattiva comunicazione e siamo noi i colpevoli, nessun altro.
Ma andiamo nello specifico analizziamo i casi sopra indicati.
I pazienti in sovrappeso
Cosa lo porta ad abbandonare il programma riabilitativo? beh, lui o lei abbandona per 3 motivi fondamentali:
- La cattiva comunicazione, quando il terapeuta incentra il risultato terapeutico sulla perdita di peso del paziente, ti sarà capitato di sentire o avrai detto frasi del tipo: staresti molto meglio se perdessi peso, oppure, il tuo ginocchio ripartirebbe di slancio se non avesse quei 30-40 kg in più, ed in infine la più “bastarda”, impegnati a dimagrire e mi impegnerò ad aiutarti.
- Quando parliamo della loro cattiva forma fisica una volta che sono seminudi sul lettino, non sono belle parole da dire, con queste parole lo abbiamo già perso, questo non significa perdere un paziente ma anche e sopratutto ferire un essere umano e, detto da un professionista feriscono due volte.
- Percezione del giudizio, il paziente sente ed avverte di essere percepito negativamente prima ancora di presentarsi al primo appuntamento, oltre il senso di colpa, prova anche l’imbarazzo e l’autoconsapevolezza del fallimento, queste emozioni, si ipotizza, che le abbiano già trovate in incontri precedenti con altre figure sanitarie, per tali ragioni il fisioterapista è portato a formularti pensieri critici nella pratica clinica evitando comunicazioni sul sentimento di vergogna e si focalizza sul controllo delle proprie scelte.
Al contrario dovremo cercare e creare motivazioni nuove per questi pazienti, che devono essere caricati ed entusiasmati, certo non è facile ma è il nostro lavoro e lo hai scelto tu ed anche per questo che ci distinguiamo da chi si improvvisa o abusa delle nostre competenze.
Quindi ricorda, non devi far altro che costruire insieme al paziente obiettivi terapeutici che non siano la perdita di peso, quello vedrai sarà consequenziale, ma, se lo motivi bene, lui ti seguirà e sarà assolutamente affidato dalle tue parole che saranno sempre costruttive e non distruttive.
I pazienti incontinenti
E’ abbastanza deducibile che in questi pazienti insorga con più facilità il sentimento di vergogna perché l’incontinenza stessa di per se provoca un grave impatto sulla qualità della vita. Molti studi hanno evidenziato che la vergogna rappresenti una barriera per la richiesta di aiuto e che tale barriera è più sviluppata maggiormente nelle donne, a prescindere dall’eta, dalla cultura e dalla religione e per di più, molto spesso e per questo motivo esse non consultano neanche un medico.
Ok, ma superati questi ostacolati e frantumate anche se in parte le barriere che limitano le loro richieste di aiuto, come si comportano questi pazienti in fisioterapia?
In studi internazionali su campioni di donne è emerso che molte non comprendevano bene gli esercizi proposti e che avrebbero preferito un fisioterapista di sesso femminile.
Anche un ulteriore studio recente ha evidenziato la difficoltà delle pazienti ad eseguire il rinforzo del pavimento pelvico, dovuto chiaramente ad una vasta gamma di fattori psicologici, sociali ed ambientali che influiscono con la messa in atto degli esercizi.
Ma al primo posto risultano sempre due barriere fondamentali: il dolore e la vergogna, ma la cosa che lascia a bocca aperta e che un ulteriore barriera è data dalla super visione del fisioterapista sugli esercizi.
Ma quali sono gli stimoli positivi che hanno contribuito il raggiungimento degli obiettivi per questi pazienti?
Fondamentalmente sono:
- sesso del fisioterapista, quindi paziente donna e terapeuta donna
- abbandono della stanza con unica postazione a rapporto 1:1 a favore del lavoro di gruppo, ovvero sia, insieme ad altri pazienti con le medesime difficoltà e situazioni.
Tali stimoli hanno portato queste pazienti a seguire e completare il programma riabilitativo con conseguente miglioramento chimico e psicologico.
I pazienti esposti a manipolazioni e quindi a nudità
Parliamo dei pazienti che si spogliano per sottoporsi al nostro trattamento e che vengono pervasi dal senso di vergogna, per cui non si predispongono nel miglior dei modi alle cure e quindi sono una sicura barriera per il successo terapeutico.
Questi pazienti non ti comunicheranno mai che provocano vergogna ma piuttosto inventeranno scuse per abbandonare la terapia, certo questo atteggiamento può anche succedere con chi non si è trovato bene con noi o non si sono trovati a loro agio.
Dobbiamo conoscere due aspetti fondamentali:
- i pazienti che soffrono di vergogna sono coloro che hanno una patologia cronica rispetto agli acuti, proprio perché hanno avuto incertezze diagnostiche e sono stati sottoposti a diverse considerazioni e anche al giudizio, il sentirsi giudicati predispone questi pazienti ad essere più vulnerabili alle emozioni di vergogna
- il paziente acuto riesce a gestirla meglio perché il dolore diventa un componente così predominante che può sottrarlo alla vergogna e le richieste d’aiuto e le aspettative terapeutiche possono diventare prioritarie.
Come possiamo anticipare il senso di vergogna in questi pazienti?
Innanzitutto riconoscere i segni clinici della vergogna, si può e sono:
- i segni clinici somatici, che compaiono già nel primo approccio della valutazione, quindi occhio al paziente che si ripiega su se tesso, stringe le spalle, ha testa reclinata o girata dalla parte opposta del terapeuta o non ci guarda in faccia, molto spesso pone le mani sul viso
- i segni neurovegetativi sono ad esempio una sudorazione eccessiva rispetto alla temperatura in stanza, sensazioni di caldo o freddo intensi che il paziente può comunicare, invece, più difficile da riconoscere è la modificazione del battito cardiaco e la modifica della conduttanza cutanea.
Se riusciamo a riconoscere alcuni o la maggior parte di questi segni siamo certamente più efficaci, dobbiamo giocare in anticipo per evitare possibili disagi dei nostri pazienti.
Quindi aspettiamo i tempi del paziente, troviamo strategie più opportune, non chiediamo di spogliarsi completamente, rispettiamo la sua privacy, magari usciamo mentre lui si spoglia, oppure gli forniamo una copertina/telo per prepararsi come meglio lui crede sul lettino, magari rimaniamo in zona per poi pian piano guadagnare fiducia e lavorare globalmente.